giovedì 13 dicembre 2012

I senza-tempo, Alessandro Forlani



Di fantascienza ne "I Senza-Tempo" di Alessandro Forlani ce n'è ben poca, diciamocelo
chiaramente.
Qui siamo di fronte ad un opera principalmente horror, ma attenzione : non fatevi ingannare dalle convenzionali etichette e dai luoghi comuni che esse generano.
Il romanzo del giovane scrittore pesarese merita rispetto!
Monostatos è un negromante, un rappresentante del male in terra. Praticamente un “Senza-Tempo”, risvegliatosi da un lungo sonno e costretto a cibarsi di giovane carne umana per ricostituirsi completamente e tornare all'antica forma fisica.
Nelle prime pagine del libro la sua fame insaziabile lo porta a decimare un'intera scuola elementare.
Alcuni superstiti di quel terribile giorno rimangono segnati a vita da tale esperienza che, tuttavia, non rappresenterà l'unica occasione d'incontro con l'entità malefica.
Dopo questi brevi accenni alla trama, qualcuno starà storcendo il naso pensando ad un bizzarro incrocio tra il blockbuster “La mummia” (USA 1999) ed il capolavoro “It” del maestro Stephen King.
A chi vede Monostatos come una copia sbiadita del famoso Imhotep di hollywoodiana memoria posso solamente dire di essere assolutamente fuori strada.
I senza-tempo di Forlani è un'opera originalissima, scritta con uno stile che magari può non piacere da subito ma che  via via si scopre essere incredibilmente flessibile.
Il romanzo, come già segnalato, è breve. Anzi, brevissimo.
Il linguaggio è crudo, diretto e spietato come un pugno nello stomaco e certe immagini e sensazioni trasmesse risultano essere tanto sconvolgenti quanto cristalline.
Gli amanti dello splatter avranno di che gioire durante la lettura ma "I Senza-Tempo" rappresenta molto di più.
I negromanti, infatti, sono la metafora dei vecchi della nostra società che divorano i giovani,  lasciandoli senza vita e speranza. Una metafora forte, attuale e che rappresenta il vero cuore pulsante della narrazione.
 L'opera di Forlani è sicuramente figlia dei nostri tempi e la sua forte componente di denuncia sociale, nascosta tra le sue righe, non può che donargli spessore.
Una volta finita la lettura si ha l'impressione che l'autore ci abbia tirato su di peso dal nostro divano urlandoci in faccia la dura verità : i senza-tempo sono tra noi, dappertutto. Altro che!

Il romanzo, pubblicato il mese scorso da Urania (n.1588), è accompagnato in questa edizione da cinque altre brevi perle dello stesso autore. Si segnala la presenza nello stesso volume del racconto  “Lo Scambiatore” (premio Stella Doppia) di Marco Migliori e “Suburbi@ Drive” di Dario Tonani.

lunedì 29 ottobre 2012

Gli orrori di Omega - Robert Sheckley



Amate la fantascienza che non è solo intrattenimento?
Vi piacciono le vicende con alla base una forte componente ideologica?
Perdete la testa per le metafore?
Allora il romanzo distopico "Gli orrori di Omega", scritto nel lontano 1960 da Robert Sheckley, fa proprio al caso vostro!
Le vicende hanno come protagonista Will Barrent che, condannato per omicidio, viene completamente privato di tutti i ricordi ed inviato sul pianeta carcere chiamato "Omega".
Qui scoprirà una società tirannica, formata interamente da criminali, ma socialmente ben organizzata.
Si legge piuttosto velocemente quest'opera di Sheckley. Forse, anche troppo.
Sembra quasi che l'autore voglia arrivare subito al nocciolo della questione, tralasciando e sacrificando numerosi aspetti della narrazione a tratti un po' inverosimile. Ne è un'esempio la fin troppo repentina scalata sociale del protagonista.
Una volta finito, il romanzo lascia comunque notevoli spunti di riflessione. Le idee che stanno alla base dell' intreccio sono di una lucidità e solidità notevole.
Lo stile asciutto, la quasi totale assenza di introspezione dei personaggi ed un Omega scarsamente caratterizzato sono tutti elementi che contribuiscono a mettere in risalto l'idea di un mondo vittima del conformismo dove il bene ed il male tendono a mescolarsi tra di loro.
L'uomo, secondo Sheckley, è in cerca di redenzione e lo fa nascondendo ed isolando su un pianeta lontano il suo lato più oscuro e violento.
E' possibile scardinare l'eterna convivenza tra bene e male?
Ogni soggetto è figlio della società in cui vive o nasconde in se determinate predisposizioni comportamentali?
E se il bene fosse in realtà il male o viceversa?
Questi sono gli interessantissimi interrogativi che l'autore si pone tra le righe di questo romanzo che a distanza di circa cinquant'anni risulta essere ancora tremendamente attuale.
Consigliatissimo.

giovedì 25 ottobre 2012

Philip k. Dick - Scorrete lacrime, disse il poliziotto



"Scorrete lacrime disse il poliziotto" è un tipico romanzo alla Philip K. Dick.
Un'opera intrisa di quella fantascienza che solo lui sapeva scrivere.
Al suo interno sono presenti molti temi cari allo scrittore come la tossicodipendenza, la psicosi, le società repressive ed altamente dispotiche, il sottile confine tra realtà e finzione.
L'ennesima recensione non avrebbe reso giustizia all'opera di un autore simile mentre questo estratto, da me particolarmente amato, decisamente si.
Buona lettura.


Quando Jason Taverner andò a riprendere i vestiti, trovò Ruth Rae seduta, nella penombra della camera da letto, sul letto disfatto, ancora caldo. Si era rivestita e fumava una delle sue solite sigarette di tabacco. La luce grigia della notte filtrava dalle finestre. La brace della sigaretta ardeva incandescente.
— Quella roba lì ti ucciderà — disse lui. — C’è un motivo se hanno deciso di razionarle a un pacchetto settimanale a testa.
— Vaffanculo — rispose Ruth Rae, e continuò a fumare.
— Però tu te le procuri al mercato nero — disse Jason. Una volta era andato con lei a comperarne un’intera stecca. Nonostante quello che guadagnava, il prezzo gli aveva fatto impressione. Ma lei non ci aveva nemmeno fatto caso. Era chiaro che se l’aspettava: conosceva il costo del vizio.
— Le trovo. — Lei spense la sigaretta appena iniziata in un posacenere di ceramica a forma di polmone.
— La stai sprecando.
— Amavi Monica Buff? — chiese Ruth.
— Ma certo.
— Non vedo come tu abbia potuto. Jason disse: — Ci sono diversi tipi d’amore.
— Come per il coniglio di Emily Fusselman. — Ruth alzò lo sguardo su Jason. — Una donna che conoscevo, sposata, con tre figli. Aveva due gattini, poi si è comperata uno di quei grossi conigli belgi, quei conigli grigi che saltellano come matti sulle zampe posteriori. Il primo mese, il coniglio aveva paura di uscire dalla gabbia. Era un maschio, almeno da quello che siamo riusciti a capire. Dopo un mese usciva dalla gabbia e zampettava in giro per il soggiorno. Dopo due mesi aveva imparato a salire le scale e a grattare alla porta della camera da letto di Emily per svegliarla. Ha cominciato a giocare con i gatti, e lì sono iniziati i guai, perché non era furbo come un gatto.
— I conigli hanno cervelli più piccoli — disse Jason.
Ruth Rae continuò: — Vero. Comunque, adorava i gatti e cercava di fare tutto quello che facevano loro. Ha persino imparato a usare quasi sempre la cassetta della sabbia. Strappandosi dei ciuffi di pelo dal petto ha costruito un nido sotto il divano, e voleva che i gattini ci andassero. Ma a quelli l’idea non piaceva. E poi è quasi stata la fine quando ha cercato di giocare a Prendimi con un pastore tedesco che una tizia aveva portato con sé. Il coniglio aveva imparato a giocare coi gatti, con Emily Fusselman e coi bambini. Si nascondeva dietro il divano, poi usciva a razzo, si metteva a correre velocissimo in cerchio, e tutti cercavano di prenderlo; ma di solito non ci riuscivano, e allora lui tornava a mettersi al sicuro dietro il divano, dove nessuno aveva il diritto di seguirlo. Però il cane non conosceva quelle regole, e quando il coniglio è scappato dietro il divano l’ha seguito e l’ha azzannato alle chiappe. Emily è riuscita a staccare il cane, ma il coniglio era conciato male. Si è ripreso, però da allora è rimasto terrorizzato dai cani. Scappava se ne vedeva uno anche solo dalla finestra. E teneva nascosta dietro le tende la parte del corpo morsicata dal cane perché non aveva più peli e si vergognava. Ma la cosa più toccante in lui era lo sforzo di superare i limiti della sua... come la chiameresti?... fisiologia? I suoi limiti di coniglio, tentando di diventare una forma più evoluta, come i gatti. Ha sempre desiderato stare e giocare con loro da pari a pari. E la morale è tutta qui. I gatti non volevano stare nel nido che lui aveva preparato per loro e il cane non conosceva le regole e l’ha azzannato. È vissuto parecchi anni. Ma chi avrebbe pensato che un coniglio potesse sviluppare un comportamento tanto complesso? E, se c’era qualcuno seduto sul divano e lui voleva che quello scendesse per potersi sdraiare, prima dava dei colpetti col muso, poi, se non succedeva niente, mordeva. Ma considera le aspirazioni di quel coniglio e poi il suo fallimento. Una piccola vita che compie degli sforzi. Senza avere la benché minima speranza. Ma il coniglio non lo sapeva. Oppure lo sapeva e ci tentava lo stesso. Però, secondo me, non capiva. Solo lo desiderava tantissimo. Era tutta la sua vita, perché amava i gatti.
— Credevo che non ti piacessero gli animali — disse Jason.
— Non più. Non dopo tante sconfitte e tante morti. Come il coniglio: alla fine, ovviamente, è morto, ed Emily Fusselman ha pianto per giorni. Per una settimana. Ho visto che dolore le aveva procurato quella morte e non ho più voluto degli animali.
— Ma smettere completamente di amare gli animali per poter...
— Le loro vite sono così brevi. Così dannatamente brevi. Okay, certa gente perde una creatura amata e tira dritto e sposta il proprio affetto su un’altra. Ma è doloroso, troppo doloroso.
— Allora perché l’amore è così bello? — Jason ci aveva riflettuto sopra, nel corso delle sue numerose relazioni, durante tutta la sua vita di adulto. In quel momento lo fece in modo particolarmente profondo. Riandando col pensiero da quello che gli era accaduto di recente al coniglio di Emily Fusselman. A quel momento di dolore. — Ami qualcuno, e se ne va. Un giorno torna a casa e comincia a mettere le sue cose in valigia e tu chiedi: "Cosa succede?", e ti senti rispondere: "Ho avuto un’offerta migliore da un’altra parte". E se ne va, esce per sempre dalla tua vita, dopo di che, fino alla morte, ti porterai dietro questo fardello, e non hai nessuno con cui condividerne il peso. E se trovi qualcun altro, succede di nuovo la stessa cosa. Oppure un giorno chiami quel qualcuno al telefono, gli dici: "Sono Jason", e ti senti dire: "Chi?", e allora capisci che è finita. L’altro non sa più chi diavolo sei. Quindi probabilmente non l’ha mai saputo. In realtà, non hai mai veramente "avuto" nessuno.
Ruth disse: — L’amore non è solo volere un’altra persona allo stesso modo in cui vuoi impossessarti di un oggetto che vedi in una vetrina. Quello è solo desiderio. Vuoi avere l’oggetto tutto per te, portarlo a casa e metterlo da qualche parte nel tuo appartamento. Una lampada, o altro... L’amore è... — Fece una pausa. Rifletté. — Per esempio, un padre che salva i figli dalla casa in fiamme. Li porta fuori e muore. Quando ami, smetti di vivere per te stesso. Vivi per un’altra persona.
— E questo è bene? — A lui non sembrava tanto.
— Supera l’istinto. L’istinto ci spinge a lottare per la sopravvivenza. Come quando i pol accerchiano i campus. La sopravvivenza di noi stessi a spese di altri. Ognuno di noi si apre la via con gli artigli. Posso farti un buon esempio: il mio ventunesimo marito, Frank. Siamo rimasti sposati sei mesi. In quel periodo lui ha smesso di amarmi ed è diventato terribilmente infelice. Io lo amavo ancora. Avrei voluto restare con lui, ma lui soffriva. Così l’ho lasciato andare. Capisci? È stato meglio per lui, e siccome io lo amavo, era quella l’unica cosa importante. Capisci?
— Ma perché è bene andare contro l’istinto di sopravvivenza? — chiese Jason.
— Tu credi che io non ti sappia rispondere, vero?
— Infatti.
— Perché alla fine l’istinto di sopravvivenza è perdente. In ogni creatura vivente: sia essa una talpa, un pipistrello, un essere umano o un rospo. Persino i rospi che fumano sigari e giocano a scacchi. Non riuscirai mai a fare quello che è nelle intenzioni dell’istinto di sopravvivenza, per cui tutti i tuoi tentativi falliranno, soccomberai alla morte, e sarà finita lì. Ma se ami, puoi svanire e osservare...
— Io non sono pronto a svanire — disse Jason.
— Puoi svanire e osservare con felicità, e con una fresca, armoniosa gioia di tipo alfa, la più alta forma di gioia, la vita di quelli che ami che continua.
— Ma muoiono anche loro.
— Vero. — Ruth Rae si mordicchiò il labbro.
— È meglio non amare, così non sperimenterai mai nessuna morte. Anche un animale - un cane o un gatto, come hai detto tu - puoi amarlo, e poi muore. Se la morte di un coniglio è dolorosa... — Jason ebbe, in quel momento, una specie di visione orrorifica: le ossa frantumate e i capelli di una ragazza che grondava sangue, prigioniera delle fauci di un nemico appena intravisto, più grande di...
— Ma puoi soffrire. — Ruth scrutò con ansia il viso di lui. — Jason! La sofferenza è l’emozione più forte che un uomo o un bambino o un animale possano provare. È una buona sensazione.
— E sapresti dirmi, per favore, in che modo? — rispose lui con voce roca.
— La sofferenza ti spinge a lasciare te stesso. Esci dal tuo piccolo e limitato guscio. E non puoi soffrire se prima non hai amato. La sofferenza è l’esito finale dell’amore, perché è amore perduto. Tu capisci, lo so. Però non vuoi pensarci. È il completamento del ciclo dell’amore: amare, perdere, soffrire, lasciare e lasciarsi, poi amare di nuovo. Jason, soffrire è la consapevolezza che dovrai essere solo, e al di là di questo non c’è nulla, perché essere solo è il destino ultimo, definitivo di ogni creatura vivente. Ecco cos’è la morte: la grande solitudine. Ricordo la prima volta che ho fumato erba da una pipa ad acqua, invece del solito spinello. Il fumo era fresco, e non mi sono resa conto di averne inalato troppo. All’improvviso, sono morta. Per un breve istante, ma che dev’essere durato diversi secondi. Il mondo, ogni sensazione, persino la consapevolezza del mio corpo, del fatto stesso di avere un corpo, sono svaniti. E non mi sono trovata isolata nel solito senso, perché quando sei sola nel solito senso continui a ricevere dati, anche magari soltanto dal tuo corpo. Ma anche l’oscurità è scomparsa. Tutto ha cessato di esistere. Silenzio. Nulla. Sola.
— Devono aver bagnato l’erba dentro una di quelle merde tossiche. Tanta gente si è fritta il cervello così, a quei tempi.
— Sì, sono stata fortunata a tornare in me. Un caso, un incidente. Avevo già fumato erba un’infinità di volte e non era mai successo. Per questo, dopo quel giorno, fumo solo tabacco. Comunque, non è stato come svenire. Non ho avuto la sensazione
di cadere perché non avevo nulla con cui cadere, non avevo un corpo... e non c’era un giù verso il quale cadere. Tutto, compresa me stessa, era semplicemente... — Ruth gesticolò. — Andato. Come l’ultimo goccio che esce da una bottiglia.
Poi, dopo un po’, hanno ricominciato a proiettare il film. La pellicola che chiamiamo realtà. — Fece una pausa, aspirò dalla sigaretta. — Non l’avevo mai raccontato a nessuno.
— Ti sei spaventata?
Lei annuì. — La coscienza della mancanza di coscienza, se mi segui. Quando moriremo non ce ne accorgeremo, perché morire è perdere tutto quanto. Così io non ho più paura di morire, per niente, dopo quel brutto viaggio con l’erba. Ma soffrire è morire ed essere vivi allo stesso tempo. L’esperienza più assoluta, più totale che si possa provare. La forza. A volte giurerei che non siamo stati creati per superare un ostacolo simile. È troppo. Il corpo arriva quasi a distruggersi, con tutti quei sussulti, quelle contorsioni. Ma io voglio provare dolore. Versare lacrime.
— Perché? — Jason non riusciva a capirlo; per lui era una cosa da evitare. Appena cominciava a provarla, se la dava a gambe.
Ruth disse: — La sofferenza ti unisce di nuovo a ciò che hai perso. È una fusione. Te ne vai anche tu con la cosa o la persona amata che scompare. In un certo senso, ti dividi da te stesso e l’accompagni, fai con lei una parte del viaggio. La segui sin dove ti è concesso spingerti. Ricordo che una volta avevo un cane che amavo. Avevo diciassette o diciott’anni. Ero quasi maggiorenne, per quel che rammento. Il cane si ammalò e lo portammo dal veterinario. Dissero che aveva ingerito del veleno per topi e che ormai i suoi visceri erano solo un sacco di sangue e che le ventiquattro ore successive avrebbero stabilito se sarebbe sopravvissuto o no. Io tornai a casa e aspettai, poi verso le undici di sera crollai. Il veterinario doveva telefonarmi al mattino, appena rientrato in clinica, per dirmi se Hank aveva superato la notte. Io mi alzai alle otto e mezzo e cercai di rimettere ordine nella mia testa, in attesa della telefonata.
Andai in bagno, volevo lavarmi i denti, e vidi Hank nell’angolo in fondo a sinistra. Con molta dignità e contegno, stava salendo lentamente una scala invisibile. Lo guardai salire in diagonale e poi, nell’angolo in alto a destra del bagno, scomparve, proseguendo su per la scala. Non si girò una sola volta. Capii che era morto. Poi il telefono squillò e il veterinario mi disse che Hank non ce l’aveva fatta. Ma io l’avevo visto salire. E, ovviamente, provai un dolore orribile, devastante, e patendo quella sofferenza mi persi e salii con lui quelle dannate scale.
Tutti e due rimasero in silenzio per un po’.
— Ma alla fine — proseguì Ruth, schiarendosi la gola — la sofferenza se ne va e tu torni in sintonia col mondo. Senza l’altro.
— E tu riesci ad accettarlo.
— Che scelta abbiamo? Piangi, continui a piangere, perché non torni mai del tutto indietro dal posto in cui sei andato con l’altro. Un frammento che si è staccato dal tuo cuore pulsante è ancora là. C’è una lesione. Una ferita che non guarisce mai. E se ti succede una volta e un’altra e un’altra ancora nella vita, col tempo se ne va una parte troppo grande del tuo cuore e non riesci più a soffrire. E allora tu stesso sei pronto a morire. Salirai la scala in diagonale e qualcun altro resterà indietro a soffrire per te.
— Non ci sono tagli nel mio cuore — disse Jason.
— Se te ne vai adesso — rispose Ruth, rauca, ma con una compostezza insolita in
lei —, è così che mi sentirò io.
— Resterò fino a domani — rispose lui.




lunedì 8 ottobre 2012

Auguri Urania !!!



Come molti sapranno, questo mese "URANIA" compie ben 60 anni!
Anche questo giovane blog, nel suo piccolo, vuole contribuire ai doverosi festeggiamenti e lo fa con due passi molto rappresentativi tratti dallo storico n.1, "Le sabbie di Marte" di Arthur C.Clarke.
Che dire... Auguri Urania e buona lettura!


"Per un abitante del globo terrestre era davvero uno spettacolo sconcertante vedere nel cielo due lune
contemporaneamente. Eppure erano là, l’una accanto all’altra, entrambe al loro primo quarto, e la prima grossa quasi il doppio della seconda. Trascorsero parecchi secondi prima che Gibson si rendesse conto di avere di fronte Luna e Terra insieme, e parecchi altri secondi ancora prima di comprendere finalmente che la falce più piccola e più lontana era il suo mondo.
Purtroppo l’Ares non passava molto vicino alla Luna, ma questa appariva ugualmente almeno dieci volte più
grande di quanto Gibson l’avesse mai vista stando sulla Terra. Le catene intersecantisi di crateri erano chiaramente visibili lungo la linea dentellata che separava il giorno dalla notte, e il disco ancora opaco era visibile grazie alla luce terrestre che vi si rifletteva sopra. Ma come mai…
Gibson si chinò bruscamente in avanti chiedendosi se i suoi occhi non stessero giocandogli un brutto scherzo.
Eppure, nessun dubbio: laggiù, su quella superficie fredda e appena visibile, in attesa dell’alba che sarebbe giunta solo tra molti giorni, tenuissime faville di luce bruciavano come lucciole nelle tenebre. Cinquant’anni prima quelle luci non esistevano: erano le luci delle prime città lunari, e dicevano alle stelle che dopo un miliardo di anni la vita era giunta finalmente alla Luna."



"Forse la Terra oggi non ha ancora bisogno di Marte, ma un giorno ne avrà.»
«Vorrei potervi credere» disse Gibson senza molta convinzione. E indicò la lussureggiante distesa verde che
lambiva come un oceano affamato la cupola pressoché invisibile della città, la sterminata pianura che fuggiva con tanta rapidità oltre il limite dell’orizzonte stranamente angusto, l’arco di alture vermiglie nelle cui braccia si adagiava la piccola colonia. «Marte è un mondo interessante, bello anche. Ma non potrà mai essere come la Terra.»
«E perché dovrebbe esserlo? E poi che cosa intendete per Terra,prima di tutto? Intendete forse le pianure del Sud America, i vigneti di Francia, le isole coralline del Pacifico, o le steppe siberiane? Perché Terra è ciascuno di questi luoghi! Ovunque l’uomo riesca a trovare una possibilità di esistenza, là è la sua terra. Ebbene, presto o tardi gli uomini saranno in grado di vivere su Marte senza bisogno di tutta questa roba.» E con ampio gesto indicò la cupola che racchiudeva la città e le dava vita."

Isaac Asimov Vs Spazio 1999



Da giovedì scorso "Fox Retro" ha incominciato a proporre la serie cult televisiva del 1973, ideata da Gerry e Sylvia Anderson, "Spazio 1999".
Telefilm sicuramente datato ma che sorprende per la cura nella realizzazione degli ambienti e degli effetti speciali, merito di Brian Johnson e parte del suo team arrivati direttamente dal set di "2001 Odissea nello spazio".
L'idea di base lascia letteralmente folgorati per immaginazione e coraggio in quanto si narra di un'esplosione nucleare così potente da provocare l'uscita della Luna dall'orbita terrestre.
Ipotesi affascinante che crea notevoli spunti narrativi e di riflessione.
Se lo spettatore e fruitore medio di SF puo' rimanerne letteralmente catturato, qualcuno dalla  mente sopraffina e traboccante di sapienza puo' invece gridare allo scandalo.
Leggete cosa scrisse in un'articolo del New York Times, datato 28 settembre 1975, un certo Isaac Asimov :


Un programma televisivo di fantascienza dovrebbe essere recensito, secondo me, non solo per le sue qualità drammatiche, per le capacità degli attori oppure per la trama, ma soprattutto per la sua accuratezza scientifica. Perché? Semplicemente perché la televisione è un mezzo educativo estremamente influente. Perché un tale mezzo dovrebbe contribuire senza motivo alla crescita di una generazione male informata?
Ci sono tre fonti possibili di errori di tipo scientifico in un programma televisivo - errori dovuti alle necessità della trama, che possono essere perdonati; errori dovuti alle necessità commerciali, sui quali si può soprassedere; ed errori dovuti all'ignoranza, che sono intollerabili.
Supponiamo di prendere in considerazione i vari tipi di errore connessi con la serie "Spazio: 1999", una nuova serie, della durata di un'ora, trasmessa per la prima volta domenica scorsa su Channel 11 (21 settembre 1975). La serie riguarda una colonia lunare di esseri umani, costretti permanentemente a vivere sul nostro satellite, da quando esso lascia la sua orbita e va alla deriva nello spazio. Uno dei fatti drammatici riguardo alla luna è che la sua gravità superficiale è pari ad un sesto di quella terrestre. Per un dato sforzo muscolare, è possibile alzare il proprio baricentro di sei volte e sollevare un peso sei volte superiore a quello che si potrebbe alzare sulla terra. Inoltre, ci si solleva più lentamente quando si salta ed altrettanto lentamente si ricade.
In "Spazio: 1999", gli effetti della gravità superficiale sulla luna sono resi alla perfezione. I personaggi si muovono verso l'alto in maniera molto aggraziata, con passi lunghi e lenti. Quando un uomo deve gettarne a gambe all'aria un altro, lo fa con sconvolgente facilità, e la vittima del lancio ricade descrivendo la corretta parabola. (filmati al rallentatore e, sospetto, l'uso di cavi sono responsabili di questi effetti). Non ho mai visto da nessuna parte una simulazione così precisa della bassa gravità. Mi sono molto meravigliato, con gioia, di ciò. (Altri effetti speciali sono stati curati con analoga attenzione).
Finora, non ci sono errori. All'interno della base, tuttavia - indoor, come si dice - era chiaro che tutti stavano operando in condizioni di gravità normale. C'é stato qualche accenno alla presenza di gravità artificiale - che, poiché accettiamo la teoria generale della relatività, non è teoricamente possibile, ma non importa, dato che si tratta di un errore dovuto a necessità drammatiche. Non è ovviamente possibile avere dei personaggi che si muovono in "slow motion" per tutta la durata del programma e per tutti i successivi episodi della serie.
Un errore più serio riguarda i metodi attraverso i quali la luna è stata lanciata fuori dalla sua orbita. Nel programma, rifiuti nucleari immagazzinati nella luna in qualche modo si scaldano ed esplodono. I motivi per cui questo avvenga non sono del tutto chiari. (Sebbene i rifiuti nucleari possano scandarsi e fondere, non possono assolutamente essere coinvolti in un'esplosione nucleare.)Tuttavia, il campo magnetico viene citato in modo tale da dare una certa plausibilità superficiale all'esplosione. Ma, una volta esplosi, i contenitori di scorie nucleari dello show funzionano come razzi, emettendo scarichi in una direzione e guidando la luna nell'altra.
Il problema, in questo caso, è che la massa della luna è stata sottostimata. Se anche tutti i rifiuti nucleari che la terra produrrà nei prossimi ventiquattro anni fossero immagazzinati in un punto, e se tutti quanti esplodessero (ammesso che possano esplodere), non sposterebbero la luna di molto, né altererebbero la sua orbita in modo consistente - men che meno la accelerebbero in modo tale che tutte le persone sulla base lunare siano inchiodate al suolo. Ma anche questo è un errore dovuto alle necessità drammatiche e anche su questo sono disposto a soprassedere. La luna deve essere tolta, in qualche modo, dalla sua orbita e, a questo scopo, è stato utilizzato correttamente, anche se in modo esagerato, un pricipio fisico.
E riguardo agli errori dovuti alle necessità commerciali? Ne ritroviamo uno proprio nel titolo "Spazio 1999." La serie comincia nell'Anno Domini 1999, tra 24 anni. Non c'é nessuna ragionevole possibilità che l'umanità possegga una base lunare così grande, così avanzata e così autosufficiente in soli 24 anni. Sarebbe stato più plausibile intitolare lo show "Spazio 2049" e lasciare al progresso un altro mezzo secolo.
Sospetto, inoltre, che il titolo venga dalla convinzione, da parte di quelli che pensavano la serie come metodo potenziale per arricchirsi, che il pubblico del programma fosse talmente egocentrico, così limitato nella propria percezione dell'universo, che non avrebbe guardato nulla che non potesse accadere in un lasso di tempo pari alla propria vita. Inoltre, il film di successo "2001" era probabilmente nelle menti di tutti - e sarebbe stato battuto da un "1999".
E che cosa dire degli errori dovuti all'ignoranza? Ce ne sono? Certo che sì.
Ci sono molti riferimenti, per esempio, alla cosiddetta "faccia oscura della luna." Il programma si apre con la didascalia "Faccia oscura della luna", ed è su tale "faccia oscura" che i rifiuti nucleari sono immagazzinati ed esplodono. Eppure non c'é nessuna faccia oscura della luna. Il lato oscuro di qualsiasi mondo è il lato esposto permanentemente lontano dal sole. Un lato della luna, in effetti, è permenentemente esposto lontano dalla terra, ma non dal sole, e ciascuna parte della luna ha sia notte che giorno, in cicli di due settimane ciascuno. La faccia della luna che si trova permanentemente dal lato opposto della terra si chiama FACCIA LONTANA, non faccia oscura.
Anche se la cattiva interpretazione di una frase non fa differenza, perché non utilizzarla in modo corretto, soltanto per divertirsi? Ma una differenza c'é. Per quale motivo un programma televisivo di successo dovrebbe portare i giovani a pensare erroneamente che metà della luna sia una terra di notte perenne, se ciò non è vero?
Incidentalmente, poiché l'esplosione nucleare è avvenuta sul lato lontano della luna, l'azione dei razzi avrebbe dovuto spostare la luna in direzione della terra, fatto che nel programma non viene mai citato. Il movimento orbitale originale della luna avrebbe evitato la collisione con la terra, ma avrebbe portato la luna ad una distanza piccolissima (la distanza sarebbe dipesa dall'intensità dell'esplosione) ed avrebbe creato effetti disastrosi.
A volte, non si è certi se un errore sia dovuto a necessità drammatiche o all'ignoranza. Per esempio, in molte occasioni, durante l'episodio iniziale ("Breakaway"), si fa riferimento ad un nuovo pianeta chiamato "Meta". Si suppone che esso sia abbastanza vicino alla luna da essere visto chiaramente dai telescopi come una sfera di notevoli dimensioni. Esso possiede un'atmosfera; lancia segnali spaziali; è possibile che ci abitato da esseri intelligenti. La parte più egoista della base lunare è pronta a mandare sul pianeta una sonda esplorativa con uomini a bordo.
Ma da dove viene Meta? Se Meta fosse il pianeta di un altro sole, dove si trova questo sole? Se esso è così vicino alla terra e alla luna come sembra Meta, il destino della terra e della luna è quello di essere arrostite. Se Meta non sta girando attorno ad un sole, ma ha semplicemente invaso il nostro sistema solare da solo, allora deve essere stato congelato da tutti gli eoni presenti durante il suo viaggio interstellare e quindi è molto improbabile che sia abitato. Se, d'altro canto, fosse stato parte del nostro sistema solare per tutto questo tempo, potendolo vedere nel 1999, dovremmo essere in grado di vederlo anche nel 1975 - ma ovviamente non possiamo. Di fatto, ogni pianeta sufficientemente vicino alla terra, nel 1999, da invitare una spedizione umana esplorativa, dovrebbe essere sufficientemente vicino, nel 1975, da essere visibile agli astronomi. Ma allora, Meta è davvero una necessità drammatica? I nostri eroi, nel prossimo episodio, avranno a che fare con Meta perché gli effetti dell'esplosione nucleare hanno lanciato la luna, per puro caso, esattamente in direzione di Meta? Oppure i produttori della serie "Spazio 1999" semplicemente non sanno o non si interessano alla vera struttura dell'universo? Per esempio, faranno in modo che la luna vada alla deriva nello spazio e visiti un pianeta diverso in ogni episodio? Questa sarebbe una visione dell'universo talmente da ignoranti che non potrebbe essere tollerata nemmeno in nome delle necessità drammatiche.
Supponiamo che la luna sia stata allontanata dalla propria orbita con tale forza da finire alla deriva fuori dal sistema solare e attraverso lo spazio interstellare ad una velocità di 1000 miglia al secondo. (Questo è inconcepibile, ma supponiamo per un momento che sia vero.) Alla luna sarebbero necessari qualcosa come 800 anni per raggiungere la stella più vicina, se fosse lanciata nella giusta direzione. Fare in modo che essa venga a contatto con mondi ed intelligenze aliene è veramente troppo da digerire, in qualche migliaio di miglia cubiche.
Certamente, la nave spaziale Enterprise di "Star Trek" lo ha fatto, ma l'Entreprise non stava semplicemente andando alla deriva. Si trattava di una nave dotata di motori potenti; poteva essere accelerata - e poteva, e ne eravamo stati informati, viaggiare a velocità maggiori di quella della luce.
Ma forse non dovrei essere così pessimista. "Spazio 1999" potrebbe evitare troppi errori dovuti all'ignoranza, Lo spero proprio, dato che i suoi effetti speciali sono veramente notevoli e desidero veramente che la serie abbia successo.


Che dire? Interessantissimo il punto di vista di Asimov ma, quando il risultato finale è una delle serie fantascientifiche più belle mai trasmesse, sono dell'idea che un'occhio lo si possa chiudere volentieri.
Grande Asimov, grande "Spazio 1999" e tanto di cappello a chi ancora oggi si impegna a divulgare la BUONA SF, in qualsiasi forma essa sia.

Fantasy & Science Fiction, L'edizione italiana!!!



Grande novità in arrivo nelle nostre edicole!
E' ormai ufficiale. La casa editrice "Elara" sembra aver acquistato i diritti dell'edizione italiana di
"The Magazine of Fantasy and Science Fiction".
Iniziativa assolutamente meravigliosa, considerando la mancanza da tempo nelle edicole di una rivista regolare di racconti fantastici.
Ottobre è il mese indicato per la pubblicazione anche se fonti attendibili parlano di uno slittamento a dicembre.
Tutti noi appassionati, dunque, non possiamo far altro che aspettare con l'acquolina in bocca.
A presto per una recensione!

Link :
http://www.elaralibri.it/editoriale.htm

venerdì 28 settembre 2012

Edmond Hamilton e l'importanza della SF classica


Ogni tanto, girovagando sulla rete, mi imbatto spesso in discussioni su quanto la letteratura
di SF classica sia più o meno attuale o se valga la pena "perdere" preziose ore nella lettura di opere pluridecennali a discapito di materiale contemporaneo.
A tale proposito vorrei recensire  "Il lupo dei cieli" (Urania n.481 del 14/02/1968) del grande Edmond  Hamilton.
Uno splendido esempio di classica space opera avventurosa nonché primo romanzo di una trilogia.
Nella visione di una galassia popolata da varie razze umanoidi, i Lupi dei cieli non sono altro che pirati. Uno di questi, Morgan Chane, è braccato dai suoi simili e non ha altra scelta che entrare a far parte di un gruppo di mercenari formati solamente da umani terrestri.
Da qui cominciano una serie di vicissitudini che lo porteranno ed un epilogo affascinante.
Si rimane deliziati da come l'intreccio, pur rimanendo sempre di una certa semplicità, sappia entusiasmare sia per le tematiche trattate che per il ritmo narrativo serrato.
Difficile, per un appassionato di fantascienza, non innamorarsi di Edmond Hamilton, della sua poesia e del suo personalissimo concetto di infinito.
E quindi? Morale della favola?
A volte per cifre ridicole ci si porta a casa dei capolavori assoluti, molto più vecchi di noi di diverse decine d'anni.
Consiglio? Non badate mai all'anno di pubblicazione. Certe opere sono senza tempo.

CURIOSITA' ED APPROFONDIMENTO

Dei tre romanzi che compongono la trilogia dei Lupi dei Cieli, Urania ha pubblicato
solamente il primo (titolo originale:The Weapon from Beyond del 1967) senza mai più
ristamparlo.
Per chi fosse interessato anche agli altri romanzi, sia la casa editrice Fanucci nel 1989 che
la Editrice Nord nel 1999 pubblicarono in un unico volume l'intero ciclo dando al primo
romanzo il titolo "Il fuggiasco della galassia".

lunedì 24 settembre 2012

Ian Watson - Gli dei invisibili di Marte


Dopo una pausa piuttosto lunga, torno finalmente a scrivere sul mio blog e lo faccio con la recensione di un romanzo di Ian Watson, pubblicato su Urania n.1581ed intitolato "Gli dei invisibili di Marte.
Il Romanzo, datato 1977 e rimasto finora inedito in Italia, è stato scritto in piena guerra  fredda.
L'influenza dell'atmosfera diplomatica di quegli anni c'è tutta mentre al centro dell'attenzione viene posta la corsa alla terraformazione da parte degli U.S.A. e della Russia, rispettivamente di Marte e Venere. 
La narrazione si muove su due binari paralleli quasi indipendenti : la missione americana della "Frontiersman", in viaggio verso Marte e la quotidianità di un villaggio di  contadini Boliviani, sconvolta dalla caduta di una sonda russa proveniente sempre dal pianeta rosso e con a bordo campioni di terreno infetto da un apparente "virus". 
Per quanto i volutamente scarni accenni alla trama possano far sperare in un'opera interessante, "Gli dei invisibili di Marte" lascia con l'amaro in bocca, risultando un romanzo con fin troppa carne al fuoco cotta male.
La narrazione, apparentemente ordinata, risulta alla lunga pesante, superficiale ed a tratti imbarazzante. 
I temi trattati sono numerosi e troppo complessi per coesistere in un romanzo di poco più di duecento pagine. Il viaggio spaziale viene analizzato, si fa per dire, in tutte le sue sfaccettature, da quella 
politica a quella sociale ed economica trovando spazio persino per descrivere la vita a bordo della Frontiersman e l'interazione psicologica tra i membri dell'equipaggio.
Compromettendo l'equilibrio già precario dell'opera, lo scrittore sembra allungare il brodo con una parte (anche consistente) dedicata alla ipotetica e ridicola rinascita, per mezzo del "virus" marziano, della perduta civiltà Inca condendo il tutto con lunghe e soporifere cavalcate tra l'onirico e lo spionaggio internazionale.
Un'occasione persa per questo romanzo che tuttavia nel suo piccolo riesce, a distanza di qualche decennio dalla sua prima pubblicazione, ad essere attualissimo fornendo uno spaccato abbastanza efficace dell'atmosfera diplomatica di fine anni 70.
Tuttavia anche un'opera mal riuscita può a volte donarci qualcosa.
Ian Watson sembra tralasciare, o quanto meno approfondire poco, il lato romantico legato all'esplorazione spaziale che ormai sembra essere rimasto riservato a noi appassionati di fantascienza.
I progressi della scienza e dell'astronomia, la situazione politica ed economica in cui riversa il nostro pianeta ci costringono a restare con i piedi per terra in tutti i sensi.
Per noi appassionati di fantascienza il giorno i cui vedremo l'uomo impegnato in una "vera" missione spaziale sembra lontano ma nel frattempo qualche lacrimuccia nel leggere le vicissitudini della Frontiersman di Watson io l'ho fatta. 



mercoledì 11 aprile 2012

Mike Resnick - Gli ammutinati dell'astronave (Urania n.1579)


E' con molto piacere che segnalo, per tutti gli appassionati della space opera, questo bel romanzo.
L'autore, Mike Resnick, vincitore di cinque premi Hugo e di un Nebula, non è certo una novità per i fruitori di fantascienza.
Della trama possiamo dire che Wilson Cole è un secondo ufficiale dai grandi meriti, intraprendente e sprezzante del pericolo ma di contro non troppo portato alla disciplina.
A causa di questa sua caratteristica, viene punito ed inviato sull'Orlo (zona esterna della galassia e di scarso valore militare) a bordo della Theodore Roosevelt, una nave militare vecchia, arrugginita, da dismettere e con un equipaggio composto da non solo umani.
La storia ruota proprio attorno alla figura di Wilson Cole e di come questo riesca, grazie al suo carattere ed alla sua intelligenza, a rendere particolarmente importante una nave come la Roosevelt alla luce del conflitto Repubblica-Federazione.
Il romanzo, dal taglio oserei dire cinematografico, è scritto bene. Il ritmo è serrato ma i personaggi sono ben caratterizzati e le pagine scorrono via che è un piacere.
Opera consigliata a chi cerca la fantascienza d'intrattenimento e dai riflessi un pò classicheggianti.
Quasi una sci-fi da "ombrellone", se mi passate il termine, ma non per questo da sottovalutare o bistrattare.
Da segnalare, a completamento del volume, cinque appendici di approfondimento scritte da Resnick (interessantissima quella su Theodore Roosvelt) ed un racconto intitolato "La rivolta dei miracolati" scritto da Samuele Nava.

giovedì 5 aprile 2012

Fantascientificast! Il podcast italiano di Fantascienza

Segnalo a tutti questa grande iniziativa che gli appassionati di Fantascienza a 360° non possono lasciarsi sfuggire ovvero Fantascientificast!
Ma di cosa si tratta? Semplice!
Fantascientificast è un podcast, della durata di circa un'ora e mezza a puntata, strutturato in rubriche, dove persone competenti ed appassionate parlano di Fantascienza spaziando tra vari media quali cinema, letteratura, fumetti, videogiochi ecc.. Il tutto impostato come una piacevole chiacchierata tra amici.
Il podcast, nato a gennaio di quest'anno, ha già all'attivo ben cinque puntate.
Una più bella ed interessante dell'altra, ascoltabili in streaming o comodamente scaricabili in formato "mp3".

Ecco il link
http://www.fantascientificast.it/

mercoledì 4 aprile 2012

Cronache marziane

- E' una bella cosa riscoprire la meraviglia - disse il filosofo. L'astronautica ci ha fatto tornare tutti bambini.

da "Cronache marziane" di Ray Bradbury




Nuova gestione per "Robot"

Nuova gestione "forzata" per la rivista Robot arrivata al n.65.
In seguito alla morte di Vittorio Curtoni, storico fondatore della rivista, subentra Silvio Sosio che già da questo numero proporrà alcune modifiche.

Per saperne di più rimando a quanto pubblicato nel link seguente ed a risentirci, non appena possibile, per eventuali approfondimenti!

http://www.fantascienza.com/magazine/notizie/16218/robot-65-presenta-harlan-ellison-e-mack-reynolds/

giovedì 22 marzo 2012

" Il suggestivo frutto d'immaginazione scaccia il monotono che risponde a realtà ".
In questa semplice frase, tratta dallo splendido romanzo "L'orlo della Fondazione" di  Isaac Asimov, si nasconde il mio amore per la fantascienza ed il fantastico in generale.
Questo "blog" nasce proprio come valvola di sfogo per questa mia passione e dalla voglia di dire la mia sull'argomento e lo farò attraverso news, recensioni, commenti e quant'altro.
Protagonisti indiscussi su queste pagine saranno i romanzi di Urania, la gloriosa rivista "Robot", i grandi classici delle letteratura fantastica ma anche gli autori contemporanei, senza dimenticare quelli di "casa nostra"!
Che dire...

A presto su queste pagine!!!